Happy Genetica - Anteprima del libro di Pier Mario Biava e Richard Romagnoli
Argomenti
Le parole di un padre
Papà mi strinse forte le mani e guardandomi negli occhi mi disse: “Sii sempre felice”. Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata e con un filo di voce riuscii a rispondergli: “Te lo prometto papà”.
Quella sera, nella stanza d’ospedale nella quale da tempo era ricoverato, mi addormentai ripensando alle sue parole, le ultime che mi disse prima di lasciare il corpo. Per molti mesi aveva lottato contro una malattia terribile, che lo aveva sorpreso quando io ero ancora un ragazzino. Posso dire di averlo amato tanto papà e di averlo ammirato per la sua innata capacità di farsi amare da chiunque, dagli amici, dai familiari e per aver ispirato i suoi colleghi con la sua dedizione, per la sua grande generosità e per quell’allegria che per lui era una dote innata, con la quale riusciva a strappare sorrisi anche alle persone più cupe.
Papà aveva la capacità di trasformare le giornate più grigie, rendendole improvvisamente belle, come lo sono quegli arcobaleni che appaiono d’improvviso dopo un temporale e che si librano leggeri verso l’infinito. Nell'ultimo periodo della sua malattia giurai a me stesso che avrei trovato un modo per lenire la sofferenza di coloro che soffrono. Non riuscivo a capacitarmi di come la scienza medica, nonostante i tanti meravigliosi progressi, potesse essere ancora così limitata nel non riuscire a trovare con efficacia le giuste cure per gli ammalati di cancro come lui. Per diverso tempo papà si era sottoposto con grande fiducia a tutte le terapie consigliate dai medici. Ricordo i continui interventi ai quali si sottopose a causa della gravità della malattia e le interminabili giornate passate con lui in ospedale, cercando di distrarlo e di confortarlo durante le soffocanti sedute di radioterapia e di chemioterapia. E così ho potuto osservare che è proprio nei momenti di sconforto che, chi soffre, trova nei sorrisi e nelle parole di incoraggiamento di medici e paramedici, la forza necessaria ad aiutarli ad alleviare almeno un po’ della loro sofferenza.
Nutro un senso di enorme riconoscenza e di profonda gratitudine verso tutti coloro che professano l’arte medica, che riconoscono l’importanza dell’alleanza terapeutica, necessaria nel rapporto di cura che si instaura tra i medici e i pazienti e così saggiamente proclamata da due luminari come Edmund D. Pellegrino e David C. Thomasma.
In quel periodo così cupo, in cui stavo attraversando lunghe settimane piene di angoscia, cercavo in ogni modo di lenire il mio patimento interiore. Mi sentivo impotente di fronte alla sofferenza di papà e l’unica cosa che mi rimase da fare fu di rivolgermi a Dio per chiedergli il perché di tutta quella esperienza. Desideravo sapere, dal suo punto di vista, quale fosse l’utilità di tutto quel dolore, pretendendo dal Creatore stesso una risposta esaustiva.
È nei momenti di difficoltà che la nostra fede si rafforza oppure si affievolisce. Persino coloro che non ripongono fede in nessun credo, e che sperimentano momenti di intenso dolore, sentono nascere in loro la necessità di ristabilire il contatto intimo con la propria serenità interiore, affinché la mente possa acquietarsi. Durante quel periodo difficile soffrii maggiormente a causa della mancanza di serenità mentale. Era come se la pace della mia mente fosse stata fagocitata completamente dalla rabbia e dalla profonda delusione che sentivo. Iniziai ad uscire da quel buio profondo solo quando ripresi i miei studi sulla spiritualità orientale. Dopo che papà lasciò il corpo iniziai a pensare seriamente di dedicarmi allo studio della medicina. Sentivo la necessità di approfondire tutte le argomentazioni scientifiche relative al legame corpo-mente. Nutrivo la speranza che avrei trovato le risposte alle tante domande esistenziali che erano rimaste sepolte e irrisolte in me. In cuor mio volevo diventare quel medico che papa avrebbe dovuto incontrare e che gli avrebbe potuto spiegare il motivo della sua malattia, aiutandolo a guarire profondamente.
Ero certo che per comprendere la natura umana e per alleviarne le sofferenze avrei dovuto studiare l'uomo nella sua completa interezza. Come un solitario che intraprende un viaggio sconosciuto, iniziai ad avventurarmi, all'esplorazione della conoscenza e dei sottili legami che collegano in un tutt'uno corpo-mente-emozioni-anima.
Viaggiare alla scoperta
Viaggiare alla scoperta di mete sconosciute è affascinante tanto quanto lo è il mistero che avvolge l’ignoto. Per procedere verso la conoscenza è necessario non rimanere influenzati dai limiti di ciò che già è conosciuto, è necessario essere disposti ad avere quell’apertura mentale che permette di lasciarsi sorprendere dalle nuove conoscenze, che possono emergere solamente oltre i preconcetti e i limiti mentali.
Oggi, a differenza dei secoli scorsi e grazie alle moderne sperimentazioni scientifiche, riconosciamo che l’essere umano non può più essere considerato come un semplice composto di chimica e molecole o come un insieme di organi e apparati che interagiscono tra di loro in maniera meccanica. Siamo consapevoli che la nostra reale identità non può essere illusoriamente confusa con quello che è il nostro corpo fisico grossolano, che non è nient’altro che uno strumento essenziale che ci permette di vivere le esperienze della vita, necessarie per sperimentare e scoprire la nostra vera e reale Natura Divina.
Un giorno feci la mia scelta e fu così che anziché dedicarmi allo studio della medicina, mi dedicai ad esplorare un’altra conoscenza, quella più intangibile e forse per questo più affascinante: la scienza dell’Anima.
Iniziai ad approfondire con più impegno gli studi che avevo già intrapreso a sedici anni su vari argomenti riguardanti la spiritualità. Rileggendo i Veda iniziai a riflettere con un’ottica diversa sui vari insegnamenti del mio amato Maestro Sri Sathya Sai Baba. Avevo la necessità e sentivo l’urgenza di arrivare a dalle conclusioni che mi avrebbero aiutato a fare Pace con Dio. Piuttosto che perdere inutilmente tempo seguendo sterili dissertazioni filosofiche, iniziai il più avventuroso dei viaggi, quello introspettivo.
Fu così che ricercando il senso perduto di quanto mi era accaduto, iniziai in maniera non convenzionale e alquanto bizzarra ad occuparmi di benessere, partendo appunto dall’Anima.
La magia della vita
La mia passione per l’arte della prestidigitazione mi diede l’opportunità di intraprendere un’avventura meravigliosa, senza la quale non avrei mai potuto vivere tutte le esperienze che negli anni mi hanno permesso di incontrare migliaia e migliaia di persone nel mondo, facendo sperimentare anche a grandi platee il potere terapeutico della risata incondizionata.
Dedicandomi con passione al servizio di volontariato negli ospedali, iniziai a riprendermi dal trauma e dal dolore per la perdita di papà e tutto avvenne quando accettai l’invito di esibirmi in un piccolo ospedale di provincia.
L’esperienza vissuta nei reparti ospedalieri mi ha permesso di comprendere quanto un atteggiamento positivo sia importante e necessario, sia per i malati ricoverati, sia nella relazione tra gli operatori e i medici delle strutture sanitarie.
Quando avevo otto anni papà riuscì a farsi autorizzare dai dirigenti dell’ospedale psichiatrico nel quale lavorava, un permesso speciale, quello di farmi esibire per i lungo degenti ricoverati nella struttura per infermi mentali. Terminato il mio spettacolo di magia una signora anziana mi venne incontro e mi abbracciò. Il suo tenero gesto sciolse tutti i miei timori e quel giorno, in quell’ospedale psichiatrico, decisi che un giorno mi sarei dedicato a fare qualche cosa che avrebbe portato sollievo nella vita delle persone più emarginate. Avevo otto anni e quel giorno senza rendermene conto seminai un potente seme nel mio destino, che oggi coltivo con gioia.
In tutto ciò che facciamo, ciò che fa davvero la differenza e ci distingue, è l’intensità e l’amore.che impieghiamo nel farlo. Questo è valido sia in ambito familiare sia in quello professionale, così pure nel rapporto di reciprocità che si instaura tra chi vive l’esperienza della malattia e chi se ne deve prendere cura. Spesso l’attenzione è maggiormente focalizzata sulle routine operative, su ciò che si deve fare piuttosto che sulla persona che riceve le cure. Semplici gesti come un sorriso, un abbraccio, una carezza, come anche parole di conforto, hanno il grande potere di provocare un cambiamento positivo nella vita delle persone.
Dobbiamo iniziare a comprendere che ogni gesto d’amore rimane indelebilmente impresso in coloro a cui ne facciamo dono.
- Le parole di un padre
- Viaggiare alla scoperta
- La magia della vita
- (Il libro è disponibile su il Giardino dei libri)
Le parole di un padre
Papà mi strinse forte le mani e guardandomi negli occhi mi disse: “Sii sempre felice”. Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata e con un filo di voce riuscii a rispondergli: “Te lo prometto papà”.
Quella sera, nella stanza d’ospedale nella quale da tempo era ricoverato, mi addormentai ripensando alle sue parole, le ultime che mi disse prima di lasciare il corpo. Per molti mesi aveva lottato contro una malattia terribile, che lo aveva sorpreso quando io ero ancora un ragazzino. Posso dire di averlo amato tanto papà e di averlo ammirato per la sua innata capacità di farsi amare da chiunque, dagli amici, dai familiari e per aver ispirato i suoi colleghi con la sua dedizione, per la sua grande generosità e per quell’allegria che per lui era una dote innata, con la quale riusciva a strappare sorrisi anche alle persone più cupe.
Papà aveva la capacità di trasformare le giornate più grigie, rendendole improvvisamente belle, come lo sono quegli arcobaleni che appaiono d’improvviso dopo un temporale e che si librano leggeri verso l’infinito. Nell'ultimo periodo della sua malattia giurai a me stesso che avrei trovato un modo per lenire la sofferenza di coloro che soffrono. Non riuscivo a capacitarmi di come la scienza medica, nonostante i tanti meravigliosi progressi, potesse essere ancora così limitata nel non riuscire a trovare con efficacia le giuste cure per gli ammalati di cancro come lui. Per diverso tempo papà si era sottoposto con grande fiducia a tutte le terapie consigliate dai medici. Ricordo i continui interventi ai quali si sottopose a causa della gravità della malattia e le interminabili giornate passate con lui in ospedale, cercando di distrarlo e di confortarlo durante le soffocanti sedute di radioterapia e di chemioterapia. E così ho potuto osservare che è proprio nei momenti di sconforto che, chi soffre, trova nei sorrisi e nelle parole di incoraggiamento di medici e paramedici, la forza necessaria ad aiutarli ad alleviare almeno un po’ della loro sofferenza.
Nutro un senso di enorme riconoscenza e di profonda gratitudine verso tutti coloro che professano l’arte medica, che riconoscono l’importanza dell’alleanza terapeutica, necessaria nel rapporto di cura che si instaura tra i medici e i pazienti e così saggiamente proclamata da due luminari come Edmund D. Pellegrino e David C. Thomasma.
In quel periodo così cupo, in cui stavo attraversando lunghe settimane piene di angoscia, cercavo in ogni modo di lenire il mio patimento interiore. Mi sentivo impotente di fronte alla sofferenza di papà e l’unica cosa che mi rimase da fare fu di rivolgermi a Dio per chiedergli il perché di tutta quella esperienza. Desideravo sapere, dal suo punto di vista, quale fosse l’utilità di tutto quel dolore, pretendendo dal Creatore stesso una risposta esaustiva.
È nei momenti di difficoltà che la nostra fede si rafforza oppure si affievolisce. Persino coloro che non ripongono fede in nessun credo, e che sperimentano momenti di intenso dolore, sentono nascere in loro la necessità di ristabilire il contatto intimo con la propria serenità interiore, affinché la mente possa acquietarsi. Durante quel periodo difficile soffrii maggiormente a causa della mancanza di serenità mentale. Era come se la pace della mia mente fosse stata fagocitata completamente dalla rabbia e dalla profonda delusione che sentivo. Iniziai ad uscire da quel buio profondo solo quando ripresi i miei studi sulla spiritualità orientale. Dopo che papà lasciò il corpo iniziai a pensare seriamente di dedicarmi allo studio della medicina. Sentivo la necessità di approfondire tutte le argomentazioni scientifiche relative al legame corpo-mente. Nutrivo la speranza che avrei trovato le risposte alle tante domande esistenziali che erano rimaste sepolte e irrisolte in me. In cuor mio volevo diventare quel medico che papa avrebbe dovuto incontrare e che gli avrebbe potuto spiegare il motivo della sua malattia, aiutandolo a guarire profondamente.
Ero certo che per comprendere la natura umana e per alleviarne le sofferenze avrei dovuto studiare l'uomo nella sua completa interezza. Come un solitario che intraprende un viaggio sconosciuto, iniziai ad avventurarmi, all'esplorazione della conoscenza e dei sottili legami che collegano in un tutt'uno corpo-mente-emozioni-anima.
Viaggiare alla scoperta
Viaggiare alla scoperta di mete sconosciute è affascinante tanto quanto lo è il mistero che avvolge l’ignoto. Per procedere verso la conoscenza è necessario non rimanere influenzati dai limiti di ciò che già è conosciuto, è necessario essere disposti ad avere quell’apertura mentale che permette di lasciarsi sorprendere dalle nuove conoscenze, che possono emergere solamente oltre i preconcetti e i limiti mentali.
Oggi, a differenza dei secoli scorsi e grazie alle moderne sperimentazioni scientifiche, riconosciamo che l’essere umano non può più essere considerato come un semplice composto di chimica e molecole o come un insieme di organi e apparati che interagiscono tra di loro in maniera meccanica. Siamo consapevoli che la nostra reale identità non può essere illusoriamente confusa con quello che è il nostro corpo fisico grossolano, che non è nient’altro che uno strumento essenziale che ci permette di vivere le esperienze della vita, necessarie per sperimentare e scoprire la nostra vera e reale Natura Divina.
Un giorno feci la mia scelta e fu così che anziché dedicarmi allo studio della medicina, mi dedicai ad esplorare un’altra conoscenza, quella più intangibile e forse per questo più affascinante: la scienza dell’Anima.
Iniziai ad approfondire con più impegno gli studi che avevo già intrapreso a sedici anni su vari argomenti riguardanti la spiritualità. Rileggendo i Veda iniziai a riflettere con un’ottica diversa sui vari insegnamenti del mio amato Maestro Sri Sathya Sai Baba. Avevo la necessità e sentivo l’urgenza di arrivare a dalle conclusioni che mi avrebbero aiutato a fare Pace con Dio. Piuttosto che perdere inutilmente tempo seguendo sterili dissertazioni filosofiche, iniziai il più avventuroso dei viaggi, quello introspettivo.
Fu così che ricercando il senso perduto di quanto mi era accaduto, iniziai in maniera non convenzionale e alquanto bizzarra ad occuparmi di benessere, partendo appunto dall’Anima.
La magia della vita
La mia passione per l’arte della prestidigitazione mi diede l’opportunità di intraprendere un’avventura meravigliosa, senza la quale non avrei mai potuto vivere tutte le esperienze che negli anni mi hanno permesso di incontrare migliaia e migliaia di persone nel mondo, facendo sperimentare anche a grandi platee il potere terapeutico della risata incondizionata.
Dedicandomi con passione al servizio di volontariato negli ospedali, iniziai a riprendermi dal trauma e dal dolore per la perdita di papà e tutto avvenne quando accettai l’invito di esibirmi in un piccolo ospedale di provincia.
L’esperienza vissuta nei reparti ospedalieri mi ha permesso di comprendere quanto un atteggiamento positivo sia importante e necessario, sia per i malati ricoverati, sia nella relazione tra gli operatori e i medici delle strutture sanitarie.
Quando avevo otto anni papà riuscì a farsi autorizzare dai dirigenti dell’ospedale psichiatrico nel quale lavorava, un permesso speciale, quello di farmi esibire per i lungo degenti ricoverati nella struttura per infermi mentali. Terminato il mio spettacolo di magia una signora anziana mi venne incontro e mi abbracciò. Il suo tenero gesto sciolse tutti i miei timori e quel giorno, in quell’ospedale psichiatrico, decisi che un giorno mi sarei dedicato a fare qualche cosa che avrebbe portato sollievo nella vita delle persone più emarginate. Avevo otto anni e quel giorno senza rendermene conto seminai un potente seme nel mio destino, che oggi coltivo con gioia.
In tutto ciò che facciamo, ciò che fa davvero la differenza e ci distingue, è l’intensità e l’amore.che impieghiamo nel farlo. Questo è valido sia in ambito familiare sia in quello professionale, così pure nel rapporto di reciprocità che si instaura tra chi vive l’esperienza della malattia e chi se ne deve prendere cura. Spesso l’attenzione è maggiormente focalizzata sulle routine operative, su ciò che si deve fare piuttosto che sulla persona che riceve le cure. Semplici gesti come un sorriso, un abbraccio, una carezza, come anche parole di conforto, hanno il grande potere di provocare un cambiamento positivo nella vita delle persone.
Dobbiamo iniziare a comprendere che ogni gesto d’amore rimane indelebilmente impresso in coloro a cui ne facciamo dono.
- (Il libro è disponibile su il Giardino dei libri)
Happy Genetica Dall’epigenetica alla Felicità! Pier Mario Biava, Richard Romagnoli |